Milanuzzi Carlo

Quarto scherzo delle Ariose vaghezze a voce sola con basso continuo

(Musica vocale profana)
D-Hs, Hamburg, Staats- und Universitätsbibliothek Carl von Ossietzky
Trascrizione a cura di Jonatas Luis Monteiro
Introduzione di Vincenzo Di Donato

ISMN 979-0-705102-52-9

60 pagine

L’eredità del canto strofico a voce sola che dalla frottola giunse alla canzonetta passando per le varie sfaccettature della villanella, venne ricevuta ed elaborata nella Venezia dei primi decenni del XVII secolo ad opera dei vari compositori presenti in città; questi, assorbendo il nuovo stile dettato dall’opera monteverdiana, volsero attenzione a tipologie di composizioni che permettessero una drammatizzazione affettiva e una cura della parola che i testi strofici propri della canzonetta difficilmente potevano suggerire, tuttavia non dimenticando del tutto un repertorio più leggero e popolare.
Infatti intorno al secondo decennio del secolo XVII fiorì nella Serenissima un gusto tipico per la canzonetta strofica che assunse intanto propria fisionomia:
melodie più semplici e meno artificiose di quelle romane e non legate completamente alla danza come quelle cantate a Firenze o Torino; dunque melodie facili e accattivanti con accompagnamento di chitarra spagnola che diventarono immediatamente popolari, ottimo investimento per l’editoria veneziana dell’epoca.
Carlo Milanuzzi da Santa Natoglia, oggi Esanatoglia MC, (159?-1647ca) nel suo soggiorno veneziano fu il compositore più rappresentativo di questo genere pubblicando nove libri di Ariose Vaghezze, di lui abbiamo soprattutto notizie dalle sue numerose pubblicazioni:
Il suo stato di monaco agostiniano lo portò ad una vita girovaga che lo vide organista e maestro di Cappella in S.Agostino in Perugia, In S.Eufemia in Verona, in S.Stefano in Venezia e ancora in Noventa Di Piave, Finale Emilia e Camerino.
La sua produzione musicale è considerevole: numerose le sue composizioni sacre che comprendono salmi, messe, mottetti e una compieta; in queste il nuovo stile seicentesco fonde la cantabilità della lauda romana all’affettività del nuovo linguaggio monteverdiano.
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Partitura
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