Caldara Antonio

La caccia - Cantata per soprano, violini, viola e basso continuo

(Musica vocale profana)
Santini-Bibliothek (Münster, Santini-Bibliothek (D-MÜs SANT Hs 766)
Trascrizione a cura di Bruno Musumeci e Antonio Frigé
Introduzione di Andrea Zedler

ISMN 979-0-705102-14-7

41 pagine

La cantata per soprano, violini, viola e basso continuo La caccia (‟Cinto il fianco di saette”), oggi conservata nella Collezione Santini della Diözesanbibliothek di Münster (D-MÜs SANT Hs 766), proviene dal primo repertorio composto da Caldara per il principe Ruspoli. La fattura della prima copia di questa cantata è datata 30 giugno 1709 e fu realizzata da Francesco Antonio Lanciani, che lavorò per anni come copista di musica per la casa Ruspoli. Secondo il testo anonimo, la cantata è divisa in cinque parti, nella sequenza aria–recitativo–aria–recitativo–aria. Un’indagine sui testi che Caldara mise in musica per Ruspoli tra il 1709 e il 1716 rivela subito il loro indubbio orientamento tematico di natura arcadico-pastorale. Ruspoli, membro appunto dell’Accademia dell’Arcadia, si è così innestato, con atteggiamento ostentativo, sulla tradizione di questa influente accademia letteraria, offrendo per anni, grazie alla Conversazione, un palcoscenico settimanale per i membri dell’Accademia al cospetto del pubblico romano e internazionale. Alcuni colleghi nell’Accademia erano autori dei testi delle composizioni di Caldara; tuttavia, attribuzioni chiare e incontrovertibili sono possibili solo eccezionalmente.
Il testo della cantata La caccia stabilisce – e questo lo distingue dalle cantate pastorali del repertorio ruspoliano di Caldara – un legame diretto con l’Arcadia, la mitica sede dell’accademia letteraria. Si focalizza su una ninfa che viene invitata (Aria 1, Do maggiore) a una caccia da Mirtillo, un fine conoscitore dell’arte di amare. Nella seconda parte dell’aria e nel recitativo seguente si scopre che le straordinarie attitudini di Mirtillo impressionano la ninfa. Nell’aria 2 (Si bemolle maggiore), la protagonista descrive come Mirtillo valorizzi le sue doti: uno sguardo dei suoi occhi è sufficiente per sedurre la vittima designata. Colpita da quest’arte, la ninfa vuole imparare da lui la caccia all’amore, poiché ritiene che a quel punto sarà la ninfa più felice dell’Arcadia. Il suo obiettivo è quindi essere oggetto di gelosia per i pastori inesperti in amore (Recitativo 2). L’aria conclusiva in Do maggiore non lascia dubbi sul convincimento della ninfa, che trionferà nel regno d’amore solo quando avrà imparato l’arte di ferire un cuore e di sottomettere un’anima ritrosa, anche commettendo una frode. Il testo, che non è affatto orientato all’idillio pastorale ma, al contrario, è decisamente pugnace, consente una molteplicità d’interpretazioni, comprese quelle politiche, la cui esplorazione merita futuri approfondimenti. Poiché gli Arcadi sceglievano nomi pastorali al momento della loro ammissione in Accademia – Ruspoli stesso fu cooptato come Olinto Arsenio nel 1691 – Mirtillo può benissimo riferirsi a una persona reale, così come questa cantata può essere letta come un’allusione al ruolo di Ruspoli nell’ambito dell’Accademia.
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